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Nella “guerra dei dazi” ci perdono tutti

di Gianluca CavionPresidente Confartigianato Imprese Vicenza

Nell’incertezza globale che ha accompagnato gli ultimi tempi, già pesante di per sé, una “guerra dei dazi” tra gli Usa e il resto del mondo, compresa l’Europa, era l’ultima cosa di cui ci fosse bisogno.

Gianluca Cavion

Ora: non serve certo essere degli economisti per capire che una politica a suon di dazi può forse pagare nel breve periodo, però da sempre l’esperienza insegna che le sfide commerciali si vincono garantendo la libera circolazione delle merci. Inoltre, come sottolinea un’indagine dell’Ufficio Studi Confartigianato, non solo ogni escalation da “guerra dei dazi” rallenta la ripresa del commercio internazionale, ma ostacola anche le filiere manifatturiere globali, generando incertezze che frenano consumi e investimenti. Ancora: nel breve periodo, i dazi alzano i prezzi pagati da imprese e consumatori, in questo caso proprio quelli statunitensi; e un conseguente eccesso di inflazione potrebbe determinare un rialzo dei tassi da parte della FED (la banca centrale americana) con una rivalutazione del dollaro che, penalizzando le esportazioni degli Stati Uniti, genererebbe un paradossale effetto “boomerang”, cioè opposto a quello atteso dai dazi.

Venendo a noi, più volte è stato sottolineato quanto gli annunciati dazi Usa sui prodotti europei possano costituire un duro colpo proprio per il Made in Italy, dato che gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato, dopo la Germania, per il maggior valore del nostro export (66,4 miliardi). Accanto a voci quali i prodotti siderurgici, farmaceutici, alimentari e bevande, apparecchi elettrici, macchinari, gomma e plastiche, ceramica e vetro, legno, stampa e carta, le politiche protezionistiche delineate dall’amministrazione Trump mettono a rischio alcuni settori con la maggiore presenza di micro e piccole imprese nei comparti moda e abbigliamento, mobili, legno, metalli, gioielleria e occhialeria, che nel 2024 hanno esportato oltreoceano merci per 17,9 miliardi di euro.
A livello territoriale, tra le aree più esposte per la maggiore quota delle esportazioni negli Usa ci sono il Veneto (7.174 milioni) e, naturalmente, la provincia di Vicenza (2,2 miliardi).
Dunque, per le nostre imprese si apre una sfida da affrontare intensificando gli sforzi per puntare sull’alta qualità della manifattura, arma vincente e distintiva che ovunque i clienti sanno riconoscere e apprezzare. Ma è anche fondamentale muoversi come Sistema Paese, con un impegno deciso da parte delle istituzioni a sostegno delle aziende e della competitività dei nostri prodotti, anche esplorando e indicando sbocchi di mercato alternativi.

Secondo un’analisi ancor più dettagliata, gli Stati Uniti detengono il primato nel mondo per l’importazione di 43 prodotti italiani, tra cui alcune produzioni ad alta tecnologia, come i macchinari, e lavorazioni con una marcata vocazione artigiana.
Ma l’impatto riguarda tutta l’area dell’euro. Nelle previsioni della BCE di marzo, la crescita dell’export nell’Eurozona è dello 0,8%, in rallentamento rispetto al trend del 2024 (+0,9%) e dimezzata rispetto alle previsioni di dicembre 2024 (+1,6%), con un ritocco al ribasso della crescita del PIL reale nell’area euro di 0,2 punti percentuali, sia nel 2025 che nel 2026.
Sempre l’indagine Confartigianato ci ricorda che i dazi sono stati introdotti come conseguenza del disavanzo commerciale degli USA nei confronti dell’UE a 27. Nel 2024, infatti, l’Unione Europea registrava un avanzo commerciale con gli Stati Uniti di 198,2 miliardi di euro, pari all’1,1% del PIL. L’Italia presentava il terzo saldo import-export con gli USA, pari a 38,9 miliardi di euro (1,8% del PIL), inferiore solo a quello di Germania e Irlanda; e ricordiamo di nuovo che gli stessi USA, sempre lo scorso anno, sono stati il secondo mercato del Made in Italy dietro alla Germania, con esportazioni pari a 64,8 miliardi di euro. Cifre che adesso appaiono ad alto rischio.

Come uscirne? Secondo molti esperti, l’imposizione di dazi sulle importazioni USA potrebbe essere attenuata a seguito di una trattativa che prevederebbe lo scambio tra minori dazi per i prodotti UE e maggiori acquisti di energia dagli Stati Uniti, una ipotesi già delineata nei mesi scorsi dalla presidente della BCE, Christine Lagarde. E il negoziato potrebbe includere gli acquisti per la difesa e di tecnologie digitali, specie alla luce del recente piano di “riarmo” europeo.
Di sicuro, intanto, i dazi paventati spingeranno in alto i costi di semilavorati e prodotti finiti, e i loro effetti recessivi amplificheranno la frenata della manifattura, che già nel 2024 ha registrato un calo del 3,7% della produzione e un segno negativo (-0,5%) per l’export, vedi meccanica e moda.
Tutti effetti che possono vanificare i segnali di dinamismo giunti comunque dalle imprese, che in Italia hanno continuato a creare lavoro e sono tornate a investire: a gennaio di quest’anno, il numero di occupati nel nostro Paese era salito a 24 milioni 222mila, le previsioni di assunzione del trimestre marzo-maggio apparivano in aumento, il costo dei prestiti alle imprese si è abbassato, e a fine 2024 si era registrata una crescita congiunturale del 3,2% degli investimenti in macchinari e impianti dopo quattro trimestri consecutivi di calo.

Insomma, la “gelata” dei dazi proprio non ci voleva. E adesso spetta al lavoro della politica, della diplomazia, cercare di rimettere le cose in sesto. Sperando che, nel frattempo, gli stessi americani (consumatori e imprenditori) constatino come e quanto oggi siano inutili e perdenti tali sfide commerciali, mandando chiari segnali di scontento all’inquilino della Casa Bianca..